Vogliamo lasciarci emozionare da tutto questo attraverso l'esperienza diretta di alcuni giovani, come Serena, di Taranto, che ha scelto di vivere da volontaria e si è messa al servizio con gesti vivi di carità e fratellanza.
Tutto è iniziato dopo aver letto varie
notizie su internet: ero a Bari, dovevo fare un esame all’università e non
tornavo a casa da un mese. Chi avrebbe mai detto che, una volta qui, la mia
vita sarebbe cambiata radicalmente!
Il giorno dopo essere tornata, mi sono
organizzata con un amico e siamo andati a dare una mano all’ABFO, il dormitorio
dietro la chiesa, dove avevano bisogno d’aiuto per mettere in ordine tutti i
beni di prima necessità che i cittadini avevano generosamente donato dopo
l’annuncio dello stato di emergenza. Da lì, mi sono spostata, insieme a qualche
altro amico, presso una palestra della città: lì vengono accolte le famiglie e,
più in generale, gli adulti, i quali però, nel giro di pochi giorni, vanno via.
Partono per il Nord Italia, o per la maggior parte, per il Nord Europa, consapevoli
che le possibilità di trovare fortuna qui in Italia non sono molto alte. E
così, abbiamo salutato i nostri amici e abbiamo augurato loro un buon viaggio… l’ennesimo
viaggio… con la speranza nel cuore che fosse l’ultimo, e che finalmente
potessero trovare un po’ di “normalità”.
Presso un altro centro, invece, la
situazione era molto diversa: c’erano e ci sono tutt’ora i minori NON
accompagnati. Questi, a differenza degli adulti, non possono muoversi
liberamente sul territorio, né italiano né europeo, e devono aspettare di
essere collocati in case famiglia, SPRAR o comunità dove rimarranno fino alla
maggiore età, e dove nel frattempo impareranno l’italiano e un mestiere, per
poter poi essere inseriti nel mondo del lavoro.
La loro sosta qui è un po’ più lunga,
perché le procedure di smistamento nelle varie strutture sono parecchio lente e
quindi possono rimanere qui per settimane, addirittura per mesi interi.
È la mia educatrice di Azione Cattolica che
mi ha spinto a prestare servizio presso quel centro… mi aveva spiegato che la
nostra presenza lì sarebbe stata molto
utile, perché questi ragazzini, completamente soli, spaesati, oltre ad aver
bisogno di assistenza materiale, erano quelli che più di tutti avevano bisogno
di essere ASCOLTATI… di parlare, sfogarsi, raccontare le loro storie terribili
e inverosimili a qualcuno e riceverne conforto… avevano bisogno di una spalla
su cui appoggiarsi, di un amico con cui confidarsi. Sono sincera, non sapevo se
ce l’avrei fatta a reggere nel cuore il peso di un’esperienza così forte, ma,
non so perché (poi l’avrei capito), senza pensarci due volte, ho accettato la
sfida.
Ecco, a questo punto inizia DAVVERO la mia
esperienza da VOLONTARIA!
Ed è stata proprio quest’esperienza, paradossalmente,
che mi ha insegnato il vero significato di questa parola: essere volontario non
significa soltanto dare cibo e vestiti a
chi ne ha bisogno, ma dare al fratello che hai di fronte tutta l’anima e tutto
il cuore; significa rinunciare al tuo tempo libero, a uscire ogni sera con gli
amici, a fare una vita comoda, per metterti a servizio di chi ha bisogno di te;
e ancora, significa diventare amico di chi hai di fronte, parlarci, ridere,
scherzare, ascoltare ciò che ha da dirti, essergli SPALLA e ROCCIA, diventare
per lui un vero e proprio punto di riferimento. Così, a 20 anni, ho aperto un
nuovo capitolo della mia vita, che ho intitolato “Incontri”, e grazie a
quest’esperienza mi sto arricchendo immensamente, sto cambiando la prospettiva
da cui guardare le cose.
Devo essere sincera, inizialmente l’impatto
non è stato molto facile: ho sofferto e pianto tanto perché non riuscivo ad
accettare di essere così fortunata rispetto a loro che hanno dovuto patire
tutte quelle sofferenze; ero caduta in una fase di apatia totale, e mi chiedevo
in continuazione: “Perché io ho tutto e loro niente?”. Poi però, la preghiera
mi ha aiutato a risollevarmi, e mi sono detta: “Come posso rinunciare a fare
tutto quello che sto facendo, solo per paura di stare male? Per paura di non
riuscire a reggere il peso delle loro storie?”. E allora mi sono rimboccata le
maniche, ho preso tutta la forza che avevo dentro, mi sono armata di sorrisi a
non finire, e mi sono lanciata in quest’avventura.
E qual è stata la cosa più sconvolgente?
Scoprire che in realtà siamo noi a non avere niente, e che loro hanno nel cuore
un’inestimabile ricchezza nascosta. Sono pieni d’amore, vita, allegria; sanno
guardare sempre al lato bello della vita, nonostante abbiano vissuto i drammi
della povertà, della schiavitù, della guerra, della distruzione, della
persecuzione; emanano il profumo dell’AMORE vero e incondizionato… e viene
spontaneo riconoscere, nei loro occhi, lo sguardo di Gesù.
Ogni giorno lì con loro: abbiamo parlato,
riso, scherzato, pianto, giocato, siamo usciti, abbiamo mangiato… Siamo
diventati amici, alcuni sono andati via, li abbiamo salutati e ci siamo ripromessi
che ci saremmo tenuti in contatto (e così è stato), che non li avremmo mai
dimenticati; altri nuovi continuano ad arrivare… e ogni volta, la magia si
ripete, per loro e per noi: il primo approccio è sempre lo stesso: “Ciao, come
ti chiami?” chiedo in inglese o francese, a seconda della lingua che parlano. E
dopo un minuto, eccoti immersa nel loro mondo, nelle loro storie, nella loro
vita… ti ritrovi a ripercorrere insieme a loro i passi del VIAGGIO che hanno
appena terminato, a volte faticosamente, a volte meno; c’è chi ne parla con
estrema serenità, chi fa fatica a ricordare, chi invece non riesce ancora ad
accettare tutto ciò che ha vissuto, ma in un modo o nell’altro, TUTTI, e dico
TUTTI, ti aprono le porte della loro vita, ti accolgono e ti invitano a
rimanere accanto a loro. E soprattutto, ti ARRICCHISCONO.
Sì, ti arricchiscono…e il paradosso è
proprio questo: parti con l’intenzione di DARE, e alla fine ti ritrovi a
ricevere molto di più!
A distanza di mesi dal primo passo, posso
dire di aver imparato davvero molto, e vorrei sintetizzare il tutto in questi
pochi punti.
- Ho imparato che è davvero difficile
trasformare il Vangelo in fatti, e che forse, qui, siamo troppo abituati a
riempirci la bocca senza sporcarci poi le mani; è in questo periodo più che mai
che mi sento continuamente rimbombare in testa le parole di Papa Francesco,
quando diceva: “Uscite dalle parrocchie. Una chiesa chiusa in sé stessa è una
chiesa ammalata” ed è lì, in quelle due frasi così brevi, ma così dense di
significato, che trovo il coraggio per continuare.
- Ho imparato che …per essere volontario ci
vogliono una forza e un equilibrio non indifferenti, che si conquistano
solamente con il tempo, con la preghiera e con la perseveranza; bisogna imparare
ad entrare nella vita dei fratelli bisognosi, senza però lasciarsi troppo
coinvolgere dai loro drammi, altrimenti si rischia di rimanere “paralizzati”
dal dolore e dalle sofferenze di cui questi ci parlano, e di non riuscire più
ad andare avanti.
- Ho imparato che per essere volontari nel
modo giusto, bisogna sentirsi come un piccolo tassello di un intero, grande
puzzle: da soli, non possiamo salvare il mondo; è insieme che si costruisce.
Tutti siamo importanti, ma non indispensabili.
- Ho imparato che se al primo posto non
metti l’altro, ma te stesso, smette di essere Amore e diventa vanagloria; è
bene mettersi al servizio, è bene rendersi disponibile, è bene sentirsi
“COMPLETATI” da un’esperienza del genere; ma il tutto, sempre guardando a ciò
che è meglio per l’altro, non per noi stessi.
- Ho imparato che di fronte a una realtà
del genere, c’è bisogno di rimettere tutto ciò che fa parte della propria vita
sulla bilancia, per ridare alle cose un nuovo peso. Ti chiedi: Cosa è importante
davvero? Cosa mi sazia? Cosa mi completa? E nel darti delle risposte, capisci
che di tante cose che prima ritenevi importanti, puoi benissimo farne a meno, e
che vivere con l’essenziale è ciò che ti rende davvero completo. La cultura
dell’essenzialità… sì, questa è la cosa più bella che questi fratelli hanno
portato qui da noi, e sarebbe bello se si diffondesse sconfinatamente. La loro
è una società ancora incontaminata da tutti i meccanismi che qui ci rendono
schiavi e sarebbe bello conservarla così e prenderne esempio. Accontentarsi di niente… di un piatto di
pasta, una maglietta, un pantalone e un paio di scarpe, una chiamata ai propri
parenti in Africa per dire: sto bene, sono vivo, grazie a Dio!
- Ho imparato anche che è molto importante,
quando ci si rapporta con questi nostri fratelli, insegnare loro il rispetto
delle regole; infondo, si tratta comunque di persone che, nonostante tutto
l’amore che portano dentro, sono fragili: hanno anche loro dei difetti, a volte
possono imboccare strade sbagliate, a volte possono essere mosse da passioni
negative. Allora, c’è bisogno anche di mettere in chiaro i limiti da non
valicare, e ricordare loro, comunque sia, che l’Italia è un paese come tutti
gli altri, in cui esistono delle regole di convivenza civile e delle leggi da rispettare.
Anche questo compito, un po’ più ostico, fa parte dei DOVERI del volontario, e contribuisce a costruire il
BENE del fratello che stiamo aiutando. Dunque, il volontario è anche
responsabile della formazione civile e sociale dei fratelli che aiuta. Il
volontario è anche un educatore. O forse, è SOPRATTUTTO un educatore!
Comunque, io credo solo una cosa: nulla accade
per caso… e questo pezzo di Africa che si è spostata proprio qui, a casa nostra,
non è arrivata senza un motivo! Ne sono convinta! Forse il nostro Dio ci ha
voluti mettere alla prova, ci ha voluti sfidare… o forse ci ha voluto
semplicemente lanciare un MESSAGGIO.
Nel mio caso, è stato proprio così: sto
attraversando un periodo particolare della mia vita; è un periodo di resoconti,
progetti e scelte; è un periodo di decisioni dure, in cui sto avendo bisogno di
mettere tutto sulla bilancia per cercare di capire, a volte anche
dolorosamente, cosa è meglio per me… senza nessun condizionamento esterno… Cosa
voglio fare della mia vita? Cosa voglio ESSERE, soprattutto?
E mentre cercavo qualcosa ho trovato QUALCUNO,
ho trovato Gesù: l’ho trovato nei loro occhi bisognosi d’amore, nei loro
sguardi desiderosi soltanto di un po’ di normalità… l’ho trovato nella loro
debolezza, nella fragilità, nel cuore grande che ognuno di loro ha… l’ho
trovato nelle loro parole innocenti quando ti chiedono: Che fine faremo? Dove
siamo? Dove andremo? L’ho trovato nella purezza del loro cuore, nei loro: “Ti
voglio bene” sinceri, nella loro capacità di non dimenticarsi di nessuno, nella
semplicità con cui sanno condividere con noi quel poco che hanno.
Giro e rigiro tra le mani la cartina
dell’Africa… e tutto d’un tratto mi rendo conto che la sua forma assomiglia
vagamente a quella di un cuore! L’Africa ha la forma di un cuore! E allora mi
dico: forse anche la terra ci vuole suggerire che quel posto è pieno d’AMORE!
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